Certe cose ritornano con regolarità come l’alternarsi delle stagioni, il bel tempo, certi abiti.

Fra queste non cessa di esercitare il suo fascino l’uso degli asking price. Ho già intrattenuto (forse annoiato) i lettori di questo sito sulla differenza fra listing price ed asking price, e forse è il caso di ritornarci. I listing price sono quelli che vediamo campeggiare sugli annunci immobiliari mentre gli asking price sono quelli a cui il cliente sarebbe disponibile a chiudere che, con un ulteriore possibile aggiustamento possono identificare il prezzo vero e proprio.

In molti contesti, quando l’annuncio è originato da una seria valutazione, come capita in molti paesi gli asking price ed i listing price coincidono. In altri casi, quando a mettere l’annuncio è lo stesso proprietario, condizionato dalla sua visione del mercato, si possono avere delle significative differenze fra i due termini.

L’uso degli asking price nelle perizie estimative è confinato dalla normativa UNI 11612:2005 sul valore di mercato a specifiche condizioni in cui non esistono prezzi ed in misura del tutto residuale e previo specifico incarico del committente.

La considerazione si basa sulla constatazione che il differenziale fra il valore stimato e le effettive dinamiche di mercato può essere significativa in assenza della rocciosa evidenza fattuale dei prezzi di mercato.

Ultimamente, la passione per gli asking price ha contagiato anche le valutazioni automatizzate, spingendo “autorevoli” organismi a speculare sulla percentuale di sconto da applicare agli asking price per ottenere indirettamente i prezzi di mercato.

Negli standard AVM internazionali dell’International Association of Assessing Officer e quelli, sempre sulle valutazioni automatizzate, della Royal Institution of Chartered Surveyors una simile indagine non è minimamente contemplata e desterebbe ilarità. Ma questo non conta. La creatività dell’Uomo non ha limiti e quindi gli ”autorevoli” organismi procedono a sperimentazioni creative.

Nei limiti di questo blog mi sforzerò di dimostrare l’inconsistenza metodologica di questa ricerca ed i danni che si possono creare al sistema economico insistendo in queste forme creative di “sperimentazione”.

È utile richiamare all’attenzione del lettore come l’ultimo collasso del sistema economico mondiale si sia originato proprio dal settore immobiliare e, almeno nel caso irlandese, non furono totalmente estranei i modelli di valutazione automatizzata.

Ma il settore immobiliare è così, è come l’expertise dell’allenatore di calcio della nazionale durante ai mondiali. Ognuno si sente in diritto di partecipare, il giorno dopo, alla liturgia dell’io avrei fatto la scelta giusta. Se poi si fa parte di grandi organismi ci si crede in diritto di fare di tutto.

Cercherò di effettuare una trattazione per punti in maniera tale da rendere quanto più chiaro possibile i concetti ed i gravi problemi in cui si può incorrere lavorando con spensierata inconsistenza metodologica in settori che, normalmente, hanno una riconosciuta comunità scientifica internazionale, diversi Standard Internazionali, delle riviste di riferimento, e più ancora ricercatori con specifiche competenze in materia.

  • Gli asking price non sempre sono elaborati da persone che cercano il valore di mercato. Capita che l’agente immobiliare o il portale di turno riceva la richiesta di sottoscrivere il mandato ad un valore di uso (value in use) che rappresenta il valore attribuito dal proprietario al legame che si instaura con un immobile al di là ed al di fuori delle reali dinamiche di mercato.

  • Gli asking price sono un atto di volontà. Ne consegue che chiunque può pubblicare due annunci relativi allo stesso immobile con prezzi differenti a seconda delle personali idee o percezioni del mercato o di quelle recepite da un professionista del settore immobiliare (agente, tecnico di fiducia etc.). E’ noto solo il 50% degli immobili che sono venduti sono intermediati da agenzie il resto passa, forse, per i portali. Chi può stimare l’impatto di quelle vendite che non passano per i portali? E come potrebbero modificare l’esoterico concetto di “sconto” sul prezzo di mercato?

  • In molti contesti ci sono scambi al di fuori dei portali e delle agenzie immobiliari. In quei contesti, lo sconto diventa meno rappresentativo. E ancora che significato attribuire a quei contesti in cui ci sono solo asking price e ci sono pochi o nulli prezzi di mercato? Come si calcolerà lo sconto su un valore che non esiste?

  • In un’epoca di fake news, di troll automatici che popolano twitter e di falsi profili facebook ci si permette di considerare gli annunci immobiliari un solido riferimento che dovrebbe addirittura essere un riferimento per la stima delle garanzie sugli immobili finanziati. Una volta che accettiamo di definire concettualmente esistente lo sconto fra l’asking price ed il prezzo di mercato, la presenza di annunci veri o perfino falsi sarà in grado di influenzare le garanzie reali del nostro sistema bancario. Uno scenario apocalittico se si immagina l’ipotesi di un attacco hacker che potrebbe creare nel giro di qualche giorno una pluralità di annunci falsi in grado di condizionare pesantemente le garanzie bancarie e, attraverso di esso, gli accantonamenti obbligatori previsti da Basilea, con la conseguenza di limitare in paesi terzi il livello di impieghi bancari e quindi, più in generale la liquidità di un Paese.

  • Il mercato immobiliare, è normalmente suddiviso in sottomercati. In altri termini il valore di un appartamento al primo piano può essere condizionato dall’andamento del mercato degli uffici mentre quello al piano immediatamente superiore a quello precedentemente descritto, da quello della residenza. Come si fa ad applicare una “percentuale di sconto” agli asking price per arrivare ad una fondata previsione del valore di mercato?

  • I segmenti di mercato non si suddividono solo per destinazione funzionale ma per localizzazione geografica. Chi ha conoscenze rudimentali delle valutazioni automatizzate conosce il problema della autocorrelazione spaziale delle osservazioni immobiliari la quale, intuitivamente, opera in differente maniera a seconda che si tratti di prezzi o di asking price. Come si fa a determinare uno sconto unico per aree e per destinazioni differenti?

  • Se uno sconto esiste davvero. Il carattere dubitativo è sottolineato, non può variare nel tempo e nello spazio in maniera anche significativa? Certamente, si dipendendo dal livello informativo della persona, che è mutevole, dalla circolazione della informazione immobiliare, notoriamente asimmetrica. In un’area dello stesso quartiere per uno specifico segmento del mercato può essere ampio o minore a seconda dei condizionamenti, delle pandemie, degli stati emotivi derivanti dal peso delle crisi economiche. Se questo è vero bisognerà procedere a fare queste rilevazioni continuamente.

  • Gli asking price, come tutti i dati immobiliari non sono equamente distribuiti nel tempo e nello spazio. Ne consegue che la proposta ricerca dell’unicorno può essere condizionata in alcune aree dalla sovrabbondanza di asking price rispetto ai prezzi di mercato o al contrario di prezzi di mercato rispetto ad asking price. Il che rende i formidabili risultati raggiunti non confrontabili per disomogeneità della natura dei dati di riferimento. È come se facessi una campionatura su differenti tipi di composti chimici e poi li mettessi a confronto.

  • Il differenziale potrebbe tener conto in misura non adeguata di informazioni che negli annunci immobiliari non sono sempre chiaramente esplicitate. C’è una causa in corso con coeredi che ha per oggetto l’immobile in vendita? Esiste un contenzioso con il condominio? Si vende in stato di bisogno? Le condizioni manutentive interne sono state descritte adeguatamente?

Il lettore mi perdonerà l’esposizione schematica avrei da scrivere molti altri punti che giustificano il silenzio degli standards su queste iniziative “creative” degli organismi autorevoli, ma mi limito qui. Mi piace ricordare che ad oggi sono esistenti database di prezzi reali di compravendite georiferite in Italia su una Cartografia Catastale eccellente, che con prezzi modici, non impegnano l’analista in stravaganti ricerche creative ma consentono modelli che poggiano sulle evidenze di mercato, sugli standards internazionali e sulla letteratura scientifica.

Sarebbe bello se il mondo bancario prendesse in mano le redini del proprio destino e continuasse, come ha già fatto nel rispetto della normativa Banca di Italia e degli Standards a dotarsi di strumenti metodologici basati sui prezzi di mercato ricordando il delicato ruolo di questo tipo di valutazioni nei momenti di crisi del mercato.

Al di là delle strampalate avventure degli organismi autorevoli nessuno credo voglia rivivere il 2008.

Prof. Maurizio D'Amato

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