Le sentenze si rispettano, comprese quelle della Corte Costituzionale. E non sarò certo io, da giudice, a sottrarmi a questo sacrosanto dovere istituzionale.

Le parole dei giudici delle leggi mi hanno però stimolato qualche considerazione a caldo, di ordine generale, che vorrei condividere.

La prima è che non si fanno le nozze con i fichi secchi. Mi pare sia un detto diffuso in ogni parte della penisola, per cui non credo sia necessario dilungarsi in spiegazioni.

Ora la Corte dice che l'art. 161 comma 3 c.p.c. si giustifica per un'esigenza di contenimento dei costi delle procedure esecutive.

Ma è stato il legislatore del 2005 che, prendendo atto che gli uffici giudiziari non sono in grado di far fronte in tempi ragionevoli alla mole di procedure iscritte ogni anno, ha deciso di esternalizzarne la gestione, arruolando i professionisti.

Ci si è forse accorti solo ora che questo ha un costo?

Più in generale, pur nella consapevolezza che gli incarichi pubblici scontano una quota di volontariato, non mi convince il ragionamento che prende le mosse sempre e comunque dal contenimento dei costi, non perchè quest'esigenza non sussista in assoluto (qualsiasi impresa tiene sotto controllo i costi), ma perchè in una procedura, come quella esecutiva, contano prima di tutto i risultati.

La qualità ha un prezzo, c'è poco da fare, e solo la qualità assicura risultati.

Invece di interrogarsi su come contenere i costi, mi piacerebbe che si cominciasse a intavolare una seria discussione su come ottenere risultati, che, in un'espropriazione immobiliare, significa come vendere prima e meglio. In questo i professionisti possono dare una mano, ma con non c'è da stupirsi se poi esigono una giusta remunerazione.

La seconda considerazione, è che la motivazione della sentenza contiene anche alcune affermazioni a dir poco sgradevoli verso un'intera categoria, affermazioni che ci si poteva francamente risparmiare.

Mi riferisco alla parte in cui si dice che i professionisti terrebbero stime alte, per lucrare compensi più elevati.

Non escludo che ciò possa essere accaduto, ma si parla comunque di una manciata di centinaia di euro al massimo e, comunque, non era il caso di maltrattare tutti quei periti che, al contrario, hanno sempre svolto il proprio lavoro col massimo scrupolo, magari pensando che, su base meritocratica, ciò potesse fruttare maggiori incarichi.

Infine, ed è la terza considerazione, la norma finisce col produrre esattamente l'effetto contrario a quello voluto.

Se si volevano stime più affidabili (e non posso negare che ce ne fosse bisogno, nel 2015, visto che troppo spesso esse erano effettuate sulla base di expertise o di valori OMI) non era deprimendo i compensi che si doveva procedere, ma inserendo poche, semplici paroline nell'art. 568 co. 2 c.p.c.: "Nella determinazione del valore di mercato l'esperto si conforma alle linee guida e alle buone pratiche accreditate a livello nazionale e internazionale...".

Credo che di più che attenersi alla miglior scienza ed esperienza ad un perito non possa chiedersi, visto che il prezzo finale di vendita all'asta è poi frutto di numerosi fattori, che sfuggono alle possibilità di previsione del valutatore.

Che interesse potrebbe invece avere oggi un perito ad affaticarsi nell'applicazione degli standard, come noto molto impegnativa, se tanto poi il compenso verrà determinato sul prezzo di vendita?

E se poi la perizia finisse in mano ad un custode negligente, che facesse scappare i potenziali interessati?

Ma d'altra parte non è forse il caso di rabbuiarsi troppo, la sentenza contiene anche qualche spunto interessante.

In realtà, al di là delle norme applicate, viene ribadito per l'ennesima volta che l'esperto stimatore ha diritto ad un compenso che remuneri (seppure non come avverrebbe per un incarico in libero mercato) la qualità e la complessità dell'opera svolta.

Vengono anche richiamati alcuni articoli del d.m. 182/2002 potenzialmente applicabili, l'art. 13, l'art. 11, l'art. 16, le stesse vacazioni.

Tenendo bene a mente questo faro, il suggerimento è che, in attesa tra l'altro che il legislatore si ricordi di aggiornare il d.m. 182, presso ogni tribunale vengano concordate tra ufficio giudiziario e consigli degli ordini delle tabelle di liquidazione standard, che coniughino l'esigenza dei professionisti di vedersi remunerati in maniera apprezzabile e quella degli uffici stessi di contenere i costi delle procedure.

Un piccolo compromesso, che può rasserenare gli animi e contribuire ad assicurare la qualità necessaria e tanto ambita

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