Abbiamo analizzato, in un precedente articolo sul nostro blog, quanto sia cresciuta negli ultimi anni la presenza dei Fondi di Private Equity nell’ambito degli investimenti agricoli e agroalimentari, un’asset class (cioè una tipologia di investimento finanziario) in precedenza scarsamente “attenzionata” da questo tipo di investitori specializzati. Ovviamente il campo operativo delle società di private equity è molto più ampio.

Infatti il private equity è una forma di investimento di medio-lungo termine in imprese non quotate e ad alto potenziale di sviluppo e crescita (high grow companies), effettuata prevalentemente da investitori istituzionali e con l'obiettivo di ottenere un consistente guadagno (sia attraverso la gestione dell’investimento, sia in conto capitale dalla vendita della partecipazione acquisita o dalla quotazione in borsa).

Pertanto, l'attività di private equity non comporta unicamente l'apporto di capitale di rischio, ma riguarda anche una serie di attività connesse e strumentali alla realizzazione dell'idea imprenditoriale. Per questo motivo è fondamentale l’apporto professionale dei Consulenti che l’investitore utilizza per lo scouting dei deal da analizzare, per l’acquisizione e lo sviluppo dell’attività della società acquisita (dopo un’accurata attività di due diligence).

Questo apporto professionale è importante perché l’investitore è chiamato a partecipare alle decisioni strategiche ed operative dell’impresa e lo fa affiancando le conoscenze ed esperienze professionali dei suoi consulenti a quelle dell’imprenditore e del management che si occupano della gestione operativa. Inoltre, lo stesso investitore istituzionale può rappresentare un ulteriore spinta per il successo dell’impresa finanziata, in quanto il prestigio del fondo nell’ambiente finanziario può comportare una maggiore notorietà per l’azienda stessa e fare in modo, ad esempio, che il mercato stesso manifesti fiducia nella società al momento della sua quotazione.

Va peraltro evidenziato che tutti i maggiori centri di ricerca in ambito finanziario prevedono nei prossimi anni una forte spinta da parte degli gli investitori istituzionali ad incrementare significativamente le allocazioni di capitali verso gli investimenti alternativi, in quanto pressati dalla necessità di preservare il loro capitale dall’inflazione e quindi di trovare rendimenti più elevati.

Assisteremo quindi ad una crescita significativa degli asset under management (AUM) a livello mondiale e in tutte le classi di asset alternativi gestiti dai fondi di private equity: alla fine del 2025 si stima un incremento del 50% dell’AUM globale in asset alternativi rispetto a quello gestito attualmente a livello globale, per cui raggiungerà l’astronomica cifra di 17,1 trilioni di dollari (fonte: Preqin).

Se guardiamo più in dettaglio all’Europa e all’Italia, si ritiene che anche da noi gli investitori istituzionali continueranno a puntare sul private equity, spinti dalla sovra-performance che normalmente questi prodotti hanno rispetto ai mercati pubblici. Il maggiore AUM da allocare e la maggiore competitività, spingeranno anche in Italia una sempre maggiore professionalizzazione del settore, con un numero crescente di gestori specializzati, focalizzati cioè su settori specifici dell’economia (ad esempio, abbiamo visto l'exploit del settore agroalimentare), in modo da comprendere meglio le dinamiche proprie dei singoli settori in cui devono impiegare i capitali raccolti.

Di conseguenza servono Professionisti molto preparati, competenti, specializzati in ognuno dei vari ambiti operativi che entrano in gioco per la selezione, l’acquisizione e la gestione dei deal.
Come misurare quindi il grado di competenza dei professionisti?

Così come accade in altri ambiti operativi professionali, anche nel caso di questa prestazione intellettuale si richiede che il professionista abbia un’adeguata preparazione e competenza, per cui si parla di obbligazione dei mezzi del sapere e non certamente di obbligo di risultato. Per soddisfare il requisito professionale legato all’obbligazione dei mezzi del sapere, il professionista deve essere non solo legittimato dalle norme vigenti, ma deve avere una buona formazione di base, proseguire con un adeguato aggiornamento continuo e dimostrare di aver acquisito specifiche esperienze nel settore a cui appartiene il deal in esame.

In definitiva il professionista deve essere in grado di utilizzare le BEST PRACTICE di settore, ovvero i metodi e le tecniche operative che mostrano risultati superiori rispetto a quelli raggiunti con qualsiasi altro metodo e tecnica e che sono usati come benchmark da raggiungere o da superare. Non esistendo una best practice valida per tutti i casi ed in ogni situazione, si cerca continuamente di perfezionare la prassi operativa, tenuto conto della qualità e quantità di dati disponibili.

Ma quali sono le best practice di riferimento da utilizzare?

Quando si vuole lavorare al top delle pratiche professionali riconosciute a livello nazionale ed internazionale, si fa riferimento agli STANDARD OPERATIVI, ovvero quell’insieme di concetti, di norme e di principi stabiliti con un accordo o da un’autorità, usati generalmente come esempi o modelli per comparare o per misurare la qualità o la performance di una prestazione professionale. Questo processo logico/operativo viene utilizzato da decenni nell’ambito contabile (attraverso gli IFRS – International Financial Reporting Standards) e nell’ambito delle valutazioni immobiliari (tramite gli IVS – International Valuation Standards oppure gli EVS – European Valuation Standards).

Anche nell’ambito delle valutazioni a supporto dei Fondi di investimento esistono standard operativi riconosciuta livello internazionale. Si tratta degli standard emanati a dicembre del 2022 da IPEV (International Private Equity and Venture Capital).

In particolare, le Valuation Guidelines di IPEV (vedi allegato) rappresentano le best practice attualmente note in tema di valutazione degli investimenti nell’ambito del private equity e in modo più ampio … include privately held (i.e., unlisted), Investments in early-stage ventures, management buyouts, management buyins, infrastructure, credit and similar Investments and Investments in Funds making such Investments.

Come già noto ai nostri Associati relativamente agli altri standard citati in precedenza (IFRS, IVS, EVS), anche gli standard IPEV presentano una prima Parte introduttiva e altre Parti “operative”, indicate come Sezioni e Appendici.

In particolare le Valuation Guidelines di IPEV si dividono in:

- Sezione I, con la definizione del valore di riferimento per questo tipo di valutazioni (Fair Value), dei principi e dei metodi di valutazione, nonchè degli altri valori di interesse dei fondi;

- Sezione II, con la rassegna di vari aspetti specifici che entrano in gioco quando si opera per i fondi (tra cui gli ormai fondamentali fattori ESG);

- Sezione III, con un elenco dei principali termini utilizzati, con utili definizioni;

- Appendici nn. 1, 2 e 3, con interessanti informazioni aggiuntive per operare in questo settore.

Chi già conosce gli standard utilizzati in altri ambiti operativi (ad esempio, gli IVS o gli EVS per la valutazione immobiliare) troverà molti punti di contatto con le Valuation Guidelines di IPEV e potrà quindi ampliare il proprio sguardo ad altri ed interessanti settori professionali.

Buona lettura

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Fondi Immobiliari