In occasione di una perdita autorevole, uno dei problemi ricorrenti umanamente, prima che dal punto di vista lavorativo, è mettere in ordine gli avvenimenti cercando di dare loro un senso compiuto. A questo esercizio non mi voglio sottrarre in occasione della dipartita del Prof. Simonotti.
Vorrei solo focalizzare alcuni concetti relativi al Suo approccio alla materia senza pretesa alcuna di esaustività. Non pretendo di offrire indicazioni, precisazioni, indicare direzioni future.
Vorrei solo portare la mia testimonianza, offrire a chi fosse interessato quello che ho capito del Suo approccio alla materia. Ripercorro senza pretesa di poter essere additato suo allievo i punti salienti dei Suoi insegnamenti.
Un primo punto che ha caratterizzato l’opera del prof. Simonotti è stata la consapevolezza dell’importanza e la centralità della professione del valutatore immobiliare. Il suo ruolo nell’individuare il valore cauzionale a garanzia delle esposizioni creditizie, il peso delle valutazioni nelle assicurazioni, la centralità del ruolo delle valutazioni automatizzate nella gestione delle banche e nei processi di asseveramento del rischio.
L’importanza del valutatore nei processi di distribuzione del peso impositivo, fino alla centralità dei valutatori nelle terne espropriative e più in generale nei processi amministrativi. Un secondo insegnamento di cui sono stato testimone è stato il Suo approccio alla materia.
I modelli, specie quelli della fase che poi sfocerà nel terzo Codice delle Valutazioni Immobiliari erano radicati nella realtà. Quasi mai i Suoi modelli erano formule normative che, imposte dall’alto, dovevano essere adattate e recepite al mercato.
Al contrario, egli osservava la realtà e generava il modello dalla mera ed umile osservazione di quello che effettivamente avveniva in esso. I rapporti mercantili non sono altro che un’astrazione derivata genuinamente dall’osservare il comportamento degli operatori del settore che semplificavano l’informazione immobiliare calcolando una superficie commerciale fra tante differenti superfici, muovendosi liberamente, oltre la soffocante rigidità dei coefficienti di ragguaglio.
Il suo MCA, intendo quello adesso in soffitta, a cui continuo ad essere affezionato, era genuinamente formalizzabile come una differenza membro a membro fra due funzioni additive che legavano il valore alle caratteristiche di un bene.
Funzioni additive che effettivamente rappresentavano un ricorrente modello adottato dagli operatori del mercato. Quelli di ogni giorno. Anche in questo mediava fra la letteratura internazionale e la realtà empirica. La stima del deprezzamento negli ultimi modelli, faceva uso di funzioni trigonometriche. Ma solo per avvicinare la stima all’effettiva consistenza del fenomeno osservato.
Cercando di adattare il modello al fenomeno osservato. Mai il contrario e mai in un atteggiamento dogmatico. Neanche riconducendo il fenomeno osservato ad un modello preimpostato. Un altro tratto distintivo era la creazione di una comunione dove era difficile distinguere l’accademico dal professionista evoluto. Entrambi erano spalla a spalla a cercare di comprendere il fenomeno studiato, a migliorarsi.
Non c’erano Cattedre, nel senso italiano del termine, ma uomini, professionisti, accademici, e operatori del settore equamente impegnati nel risolvere i problemi. Non esistevano titoli nel Suo mondo, ma risposte ai problemi reali.
Non c’erano tronfi, irridenti baroni che decidevano della vita e della morte dei colleghi subalterni. Nessuna sopraffazione, nessun istinto di superiorità. Solo persone che facevano ricerca.
Fra i suoi fans era difficile distinguere gli accademici dai professionisti. L’altro tratto che derivava da questo era l’entusiasmo. Non vi era un disegno predefinito, non c’erano azioni concertate ma, non so come, ci si trovava coinvolti in convegni, seminari anche specialistici, con partecipazioni insolitamente ampie.
Ti sentivi parte di qualcosa di più grande. Eri impegnato su più fronti, ma non facevi accademia, rispondevi ai problemi della gente, dei professionisti. Il che generò la creazioni di reti informali, reti in grado di mettere a sistema esperienze, risorse, conoscenze scientifiche che prima di allora vivevano in scomparti isolati e, spesso, nella reciproca diffidenza.
Reti che si sono trasformate in forme di associazionismo e perfino amicizie. Questa, forse, è una delle più grandi eredità del prof. Simonotti, dal mio punto di vista. Averci restituito all’umile pratica dell’osservazione del fenomeno per adattare le nostre soluzioni ad una realtà continuamente mutevole.
Un ultimo tratto è quello della apertura agli standard valutativi. Un’apertura che non significava l’anglofila e supina declinazione di metodologie per il gusto del termine inglese. La sua apertura agli standard era finalizzata a mettere al servizio del Paese le migliori esperienze per giungere, negli ultimi tempi, specie nell’income, alla creazione di standard autonomi, elevando la capacità critica del valutatore che riusciva a brillare nei metodi e nelle soluzioni metodologiche.
Aumentandone la consapevolezza , fino ad arrivare a percorsi di certificazione per i valutatori immobiliari. Non so se ho reso l’idea di quello che è stato il movimento di idee promosso dalla figura di Simonotti, ma ho esposto quello che la mia sensibilità ha colto.
Sentivo l’esigenza di una riflessione che aiuti a chiudere un ciclo, me per primo, e, forse, se ne saremo all’altezza, aprirne uno diverso. Una sfida non facile.
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